Doveva cambiare il volto dell’edilizia in Italia, ma i fondi che il governo ha destinato al Superbonus 110% sono finiti. E non solo quelli delle risorse dedicate al maxi-incentivo per quest’anno, ma anche quelli che dovrebbero coprire il piano fino al 2036.
Lo conferma l’ultimo rapporto dell’ENEA (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile), in base al quale è risultato che il valore totale delle detrazioni a carico dello Stato ha già raggiunto la soglia di oltre 33,7 miliardi di euro, su un totale di 33,3 miliardi di euro che erano stati destinati al Superbonus.
Già a fine maggio l’ammontare delle richieste per i lavori del superbonus 110% erano più dei fondi stanziati dal Governo. In pratica non ci sono più soldi per rimborsare imprese e banche, molte delle quali non accettano più la cessione del credito. In attesa che l’esecutivo trovi una soluzione, ecco cosa succede a chi ha già iniziato i lavori, a chi ha già fatto richiesta e cosa si può fare se l’impresa vuole recedere dal contratto.
Come arginare il flop del Superbonus 110%
Ora quindi ci si chiede che cosa succede a chi ha già richiesto i fondi per le ristrutturazioni o addirittura a chi ha già praticamente le impalcature davanti a casa e teme di vedersi i lavori lasciati a metà.
Cosa succede se hai già iniziato i lavori
Per i lavori già iniziati che hanno ricevuto tutte le autorizzazioni dell’Enea e hanno concluso un accordo di cessione del credito con una banca, non dovrebbero esserci eccessivi problemi; da un lato le banche che già si sono impegnate con contratti di cessione del credito non si possono tirare indietro senza farsi carico dei danni che causerebbero a imprese e consumatori con il loro recesso, allo stesso modo il Governo dovrà intervenire con opportuni provvedimenti per finanziare in qualche modo le pratiche accettate.
Il contratto è firmato ma sei in attesa della banca?
Per coloro che hanno stipulato il contratto con l’impresa e attendono la risposta della banca per la cessione del credito, è ancora possibile bloccare tutto in attesa di sapere cosa deciderà il Governo. Se il contratto di appalto dei lavori prevede l’accettazione dei lavori o la partenza del cantiere solo una volta che la banca ha accettato la cessione del credito, i lavori non partono e si restituiscono eventuali caparre o anticipi sulla base di quanto stabilito dal contratto.
I lavori sono iniziati ma senza la concessione del credito
Se i lavori sono già iniziati ma manca la concessione del credito bancario, la questione è più complessa; nel caso in cui l’impresa abbia anticipato con risorse proprie l’inizio dei lavori, temendo ora di non riuscire a rientrare nei costi, potrebbe decidere di bloccare il cantiere.
In questa ipotesi bisognerà fare riferimento al contratto di appalto e vedere cosa prevede per l’ipotesi di ritardo nei lavori o per il “recesso” da parte dell’impresa: se l’amministratore è stato previdente il condominio avrà richiesto la sottoscrizione, a carico dell’impresa, di una polizza a copertura degli eventuali danni di questo tipo. Anche in questo caso, comunque, sia il cliente sia l’appaltatore, possono chiedere la revisione o risoluzione del contratto.
Se è stata finanziata solo una parte dei lavori
Nel caso in cui solo una parte dei lavori abbia già ricevuto il finanziamento, impresa e committente possono decidere di eliminare parte dei lavori deliberati, ma non ancora iniziati, e operare di comune accordo una riduzione del contratto.
Cosa succederà in futuro con il Superbonus 110%?
C’è chi spinge per il rifinanziamento della misura ma cambiando la struttura. In attesa di capire cosa deciderà il governo, molti cittadini si chiedono cosa succede adesso a chi ha già richiesto i fondi per effettuare lavori edili nell’ambito del superbonus. Riuscire a finire gli interventi già cominciati è di importanza prioritaria, non solo per i cittadini che devono pagare lavori che rischiano di rimanere incompiuti, ma anche per le aziende edili coinvolte. Secondo i calcoli della Confederazione nazionale dell’artigianato e della piccola e media impresa (Cna), sarebbero infatti 33mila le imprese che rischiano il fallimento.
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